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Schema
Introduzione
I. Il dolore è sempre presente
A. La ribellione porta alla rovina
B. Il profondo lutto del dolore
Discussione
II. Il tempo della scrittura
III. Le cinque divisioni di questo libro
A. La via della malvagità
1. La minaccia di Mosè si è avverata
2. Il popolo abbandonato
B. L’ira di Dio
1. Versata sul peccato
2. Il Dio abbandonato
C. Il peso del dolore
1. Compromesso e decadenza
2. Cos’altro se non il pentimento?
3. Lo sbaglio non produce felicità
4. Tre strade
D. Il desiderio di aiuto
1. Lasciati senza essere in piedi
2. Nessun aiuto reale senza Dio
E. Il naufragio del peccato
1. Quando il Signore non custodisce più
2. Una nube di sventura
Conclusione
IV. Parola chiave e appello
A. “Come!
B. Cerca e gira
C. “Spererò dunque in Lui”.
01 – Introduzione
La famiglia umana è lenta a imparare! Gli uomini vedono la sofferenza negli altri, ma si convincono che non sarà la loro sorte; sanno che molte persone sono cadute nell’abisso verso il quale li sta conducendo la loro strada, ma pensano che troveranno un ponte per i loro passi; vedono le ossa di coloro che prima di loro hanno peccato, sbiancare sul ciglio della loro stessa strada, eppure continuano a camminare sui sentieri del male. La punizione di Adamo ed Eva avrebbe dovuto avvertire i loro figli della punizione per il peccato che ci si deve aspettare, ma guardate il comportamento di Caino! Il diluvio avrebbe dovuto mettere in guardia Noè a sufficienza per farlo rimanere sul sentiero stretto, ma dopo il diluvio si ubriacò! Le numerose tragedie che si sono abbattute sul popolo ebraico (in Egitto, nel deserto e in Canaan, sotto i giudici e durante il periodo dei re) avrebbero dovuto indurre i loro discendenti a comportarsi bene, ma ahimè, invece di imparare che impegnarsi nel peccato era una follia, sembrano convincersi che la follia fu che i loro antenati furono catturati. Divennero più sottili, astuti e segreti nei loro crimini e pensarono così di sfuggire alla scoperta e alla punizione, piuttosto che smettere di peccare per ricevere la ricompensa dei giusti. Inoltre, il giudizio di Dio non fu eseguito rapidamente e molti conclusero che Egli si era dimenticato o che sarebbe stato clemente con loro.
Quando Geremia scrisse le Lamentazioni, era iniziato un periodo di punizione tale, che il popolo ebraico non aveva mai immaginato possibile. Avevano disprezzato la misericordia di Dio, avevano rifiutato la sua offerta e avevano peccato fino all’ultimo giorno utile, e la vendetta di Dio si era abbattuta sulla città e sui suoi abitanti. Quando vide la rovina che la disubbidienza contro Dio aveva causato, e rivide, nella memoria, cosa sarebbe potuto essere, se gli avvertimenti fossero stati ascoltati, scoppiò il lacrime di dolore e delusione. L’umiliazione lo investì come un’onda anomala, ma sapeva che la sentenza era giusta e la punizione adeguata.
Leggendo il testo versetto per versetto, sembra di scostare un sipario che nasconde cose sgradevoli e ripugnanti ad occhi che devono vedere ma che hanno paura di guardare. Mentre il velo viene tirato indietro, si guarda nella profondità del dolore, dal primo:
“Come siede solitaria la città che era piena di gente?” all’ultimo: “Ci hai forse rigettati davvero? Sei tu adirato fortemente contro di noi?”. (1:1; 5:22).
Tra queste due affermazioni, la prima e l’ultima del libro, c’è una scena di pianto continuo che poteva essere rappresentata solo da qualcuno che era stato educato al dolore e la cui disciplina era stata amministrata dalla delusione. Il vecchio diavolo sa certamente come rendere la vita infelice e ha fatto un lavoro completo sull’intera nazione ebraica e su Geremia in particolare.
02 – Il tempo della scrittura
Le Lamentazioni devono essere state scritte poco dopo la caduta di Gerusalemme, perché la terribile scena è talmente fresca che non ha perso nulla della sua crudeltà e del suo orrore nella mente dello scrittore. Torturato nel vedere una città che si trova in uno stato di incredibile abbandono e sapendo che i suoi abitanti sopportano un rimprovero che non può essere descritto in modo esauriente, egli scrisse questo resoconto della distruzione e della desolazione.
03 – Le 5 divisioni
Le cinque divisioni non sono necessariamente collegate, se non per l’argomento, in modo da raccontare una storia completa, ma sono piuttosto una serie di gemiti di pianto incontenibile, per una perdita apparentemente irreparabile. Sono come cinque monumenti eretti per ricordare agli ebrei il giusto giudizio di Dio contro i peccati del suo popolo. Ad essi possono essere dati titoli descrittivi, come,
- capitolo 1, “La via della malvagità”;
- capitolo 2, “L’ira di Dio”;
- capitolo 3, “Il peso del dolore”;
- capitolo 4, “La mancanza di aiuto”;
- capitolo 5, “Il naufragio dell’iniquità”.
Nessuno scritto illustra in modo così vivido e dettagliato il dolore che il cuore umano può sopportare. Il dolore del Signore è pari a quello di Geremia, anzi lo supera di gran lunga, ma non è raccontato in modo così lacerante.
Il testo può essere giustamente definito “il capolavoro dell’angoscia” di tutta la letteratura mondiale. L’esame di queste divisioni svilupperà la comprensione della posizione che questo libro occupa nello scopo e nel piano eterno di Dio, del perché sia stato scritto e del perché sia stato conservato.
04 – Capitolo 1
Quando il profeta osservò Gerusalemme e Giuda, la città popolosa, un tempo prospera, vide che era ora “una città fantasma”, la moglie felice divenuta vedova, la regina ridotta a schiava, e coloro che erano considerati amici rinnegavano ogni alleanza ed erano come predoni beffardi che godevano della loro caduta. Sorpresa, meraviglia e stupore erano le emozioni racchiuse nella parola introduttiva “Come”. Che cosa era successo? Il Santo non abitava più a Gerusalemme e le strade che un tempo portavano i fedeli felici nei suoi recinti erano ora deserte. Perché questo cambiamento?
La minaccia di Mosè:
“Per non avere servito il SIGNORE, il tuo Dio, con gioia e di buon cuore in mezzo all’abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici che il SIGNORE manderà contro di te, in mezzo alla fame, alla sete, alla nudità e alla mancanza di ogni cosa; ed essi ti metteranno un giogo di ferro sul collo, finché ti abbiano distrutto.” (Deuteronomio 28:47-48),
era stata eseguita.
Gerusalemme è ora uno è altro che una parola appena sussurrata, un nome vestito di vergogna. Con le sue mura distrutte e i suoi abitanti ridotti in schiavitù in una terra straniera, tutto a causa della ribellione e del peccato, il profeta piangente grida: “Nulla di simile vi accada, o voi che passate di qui!” (1:12) Fin dall’inizio, ogni parola dello scrittore sembra essere un gemito e ogni sentimento l’eco di un cuore spezzato.
È questo il tipo di mondo che Dio ha ordinato? Voleva forse che la vita dell’uomo non fosse altro che un tempo di dolore e che i suoi giorni non fossero altro che un accumulo di lacrime e di sospiri? Certamente no! Qualcosa aveva provocato questa condizione nel popolo di Dio. Aveva Egli forse abbandonato i Suoi figli? Aveva forse perso interesse nella loro sorte? Lo scrittore riconosce pienamente la causa di tutti questi problemi: abbiamo peccato. Questa è la via della malvagità. Le conseguenze che stavano subendo non erano altro che erano alcuni dei frutti della loro trasgressione. “Gerusalemme ha gravemente peccato; perciò viene allontanata” (1:8). L’oro fino si è appannato e la presunta fortezza inespugnabile è stata conquistata.
05 – Capitolo 2
Le evidenti desolazioni che accompagnano le terribili condizioni in cui è stato portato il popolo ebraico mostrano quanto siano terribili le catastrofi che colpiscono gli uomini e le nazioni quando deviano dalla rotta e dai metodi di Dio. L’ira dell’Onnipotente si riversa su coloro che peccano, perché il loro comportamento è uno schiaffo diretto a Dio, e per quello che la trasgressione colpisce tutti in modo diretto. Essa contamina, profana, angoscia e sconfigge tutti coloro che vi partecipano, oltre a innumerevoli spettatori innocenti che ne sono coinvolti a loro insaputa o con il loro consenso. L’errore più grande sta nel fatto che rende l’Onnipotente un nemico, perché il peccato lo spinge a distogliere lo sguardo dal suo popolo e ad abbandonare il suo seggio di misericordia in mezzo a loro.
In questa divisione delle Lamentazioni, con il culto che diventa insincero, gli adoratori corrotti e le offerte indegne, Dio non viene trovato da coloro che ne hanno bisogno. Anche i falsi profeti, che non avevano alcuna visione ma si atteggiavano a veri profeti, pronunciavano solo falsità, e la città devastata giaceva in un’oscurità innaturale, languendo nella disperazione e piangendo sul suo letto nella sua notte di malvagità. Poiché le lacrime scendono facilmente quando le condizioni sembrano disperate e quando gli occhi degli altri non vedono, così il cuore di Gerusalemme si riversa come acqua. Forse non c’erano richieste precise, perché il dolore più profondo spesso non trova parole adatte per esprimersi, ma piange nell’umiliazione e nell’orgoglio ferito. Le sue abitudini precedenti l’avevano portata alla vergogna e alla sconfitta. Chi ha detto: “Tra le parole più tristi della lingua o della penna, la più triste è questa: Avrebbe potuto essere”, potrebbe aver tratto le sa ispirazione dalle Lamentazioni. Gerusalemme non avrebbe dovuto trovarsi in questa triste condizione; era abbandonata da Dio perché aveva abbandonato Dio. Oh, se gli uomini potessero prevedere l’orrore dell’ira di Dio e vivere in modo da evitare che essa si riversi su di loro e su coloro che possono influenzare. Quando l’ira si manifesterà su tutte le nazioni che lo hanno dimenticato, su coloro che non lo conoscono e su coloro che non obbediscono al vangelo di suo Figlio Gesù Cristo, coloro che sono stati abbandonati da Dio comprenderanno appieno il significato dell’essere abbandonati da Dio (2 Tessalonicesi 1:7-10).
06 – Capitolo 3
Il compromesso religioso ha causato il decadimento morale, o viceversa; in ogni caso, vanno di pari passo, e i peccati del popolo avevano procurato i fardelli che ora stavano portando. L’unico sollievo sarebbe stato quello di allontanarsi dal male e di invocare il Signore nel modo da Lui stabilito. Il profeta, quindi, enumerando molti dei dolori, invita il popolo a fare qualcosa per la sua condizione. L’umiliazione di se stessi sotto la mano castigatrice del Signore ravviva la speranza in coloro che ne sono influenzati, anche se l’orribile fardello colpisce fino alla polvere, circonda con sbarre come una prigione e infligge dolore a ogni passo. Leggendo il terzo capitolo del libro ci si ricorda delle parole di Paolo: “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7:24). Il Padre Eterno non aveva ordinato loro di pentirsi e non aveva promesso che il pentimento sarebbe servito a qualcosa, ma il profeta esortava coloro che leggevano il suo messaggio a farlo comunque. Che altro potevano fare? La misura della loro oppressione sembrava più grande di quanto potessero sopportare e la loro punizione al di là della forza di sopportare. Una tale situazione estrema li riduceva alla loro giusta dimensione ai loro stessi occhi, e la preghiera a Dio era, ed è, prodotta da tale ridimensionamento.
Ma perché erano così angosciati? Forse Dio voleva solo vederli strisciare nella polvere? Certamente no. Dio non voleva vedere la sofferenza degli uomini (3:33), ma il loro comportamento non gli lasciava scelta. Il male non produce felicità, altrimenti non ci sarebbe alcun vantaggio nel bene; così, quando non perseguirono la via di Dio che li avrebbe resi felici, la colpa dell’infelicità che doveva seguire fu solo loro (3:39). Ascoltare una predicazione come quella che veniva fatta dallo scrittore del libro era irritante, e per loro si aprivano tre strade:
- potevano continuare ad essere irritati, il che era scomodo;
- potevano cambiare strada, il che era la cosa giusta da fare;
- potevano chiudere la bocca del profeta, cosa che tentarono di fare mettendolo in una fossa profonda.
Questa reazione è così diversa da quella di oggi?
07 – Capitolo 4
Come l’oro si appanna, così i sani perdono la loro forza e i belli vedono la loro pelle raggrinzirsi e diventare scura. Questi sono le metafore che il profeta usa per descrivere il periodo tragico che stavano attraversando. Con la scusa della vera pietà e del nobile servizio, il sacerdote perseguitava e distruggeva i giusti e camminava per le strade così contaminate da sangue innocente che persino i pagani li evitavano. La scena era così orribile che Geremia fece gentilmente calare il sipario e non si soffermò più su di essa; dichiarò invece che il popolo tormentato cercava sollievo. Ciò era meraviglioso, ma si aspettavano che l’aiuto venisse dagli uomini. Perché non imparano che il loro aiuto è solo nel Signore? La loro apostasia era completa: non conoscevano Dio, non lo cercavano e guardavano agli uomini per la loro salvezza. Avevano sempre opposto resistenza a Dio, e ora Egli li aveva lasciati privi di sostegno davanti a Lui. Stavano imparando, con molte difficoltà, la lezione attuale: le posizioni precedenti si perdono se chi le occupa non è fedele. Gesù disse in seguito:
“chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvato.” (Marco 13:13); e nell’Apocalisse: “Sii fedele fino alla morte e ti darò una corona di vita” (2:10).
La città desolata e la nazione senza casa raffigurano in modo appropriato tutti coloro che sono rimasti nel peccato. Sono lontani dalla Sion spirituale e vagano tra nemici ostili e decisi a distruggerli. Si rendono conto di aver bisogno di aiuto, ma non sanno o non vogliono rivolgersi al Signore che può fornirglielo in abbondanza. Tutti gli aiuti che gli uomini trovano al di fuori di Dio non reggeranno meglio di quanto una canna spezzata regga il peso di uno storpio.
08 – Capitolo 5
Se Ezechiele ha sottolineato il pensiero: “Riconosceranno che io sono l’Eterno”, lo scrittore di questo libro ha dato forza all’espressione: “Il Signore ha riportato la cattività a Sion” (2:8; 3:40; 5:21). Quale rovina seguì quando il Signore non fece più la guardia! Gli stranieri entrarono, gli uomini divennero schiavi, le donne furono violentate, i bambini rimasero orfani, l’età fu disonorata e la gioia svanì. Il culto che un tempo caratterizzava un popolo felice non c’era più, e il dolore era accentuato dal paganesimo delle pratiche contemporanee. L’ignoranza portava coloro che negavano Dio a dare la colpa dei loro dolori al caso o al destino, ma la fede sincera vedeva in loro l’operare di uno spirito di sfida morale e di trasgressione che non poteva portare ad altro luogo che al dolore. Il peccato aveva distrutto la loro nazione, il loro culto e la loro vita, e le nubi del destino si erano posate su di loro. La carestia, l’umiliazione, il disonore e l’abuso erano gli effetti dolorosi dell’allontanamento da Dio e dell’aumento dei peccati dei loro antenati. Avevano peccato e Dio era arrabbiato.
Conclusione
La parola chiave
La parola chiave delle Lamentazioni è un attonito “Come!”. L’autore non la usa come se stesse facendo una domanda, ma come se fosse indicibilmente stupito della distruzione a cui ha dovuto assistere. Usa questa parola come per dire: “È possibile che questo sia reale? Può accadere qualcosa di simile solo nella fantasia? Devo aver sognato”.
Ma non stava sognando, era sveglio; ciò che vedeva era davvero davanti a lui. L’infelice Giuda era in preda all’angoscia; i frammenti della sua gloria nazionale erano disseminati per terra; l’onore era stato trascinato nella sporcizia a Babilonia; gli increduli in Dio stavano vivendo una giornata di derisione; e ogni pensiero nella mente di Geremia provocava nuove lacrime. Ma mostrare stupore per Gerusalemme e Giuda non poteva essere lo scopo del libro. E allora qual era? Semplicemente mostrare che il giusto giudizio di Dio, ripetutamente preannunciato, provocato dal peccato, è terribile nella sua punizione.
Cercare e voltare pagina
La grande esortazione del libro è: “Cerchiamo e proviamo le nostre vie e torniamo al Signore” (3:40). Nel mezzo di un dolore straziante, viene posta la domanda: “Perché un uomo si lamenta per il castigo dei suoi peccati?” (3:39). Bisognerebbe migliorare le cose che si devono accettare, invece di lamentarsi dei risultati dei propri fallimenti. Gli uomini si lamentano delle loro speranze deluse, delle loro debolezze spirituali, dei loro fallimenti negli affari, delle loro stagioni di afflizione e delle loro sorti nella vita. Lamentarsi è peccare contro la ragione, contro la bontà, contro la fedeltà divina e contro l’opportunità: contro la ragione, perché non c’è nessuna potenza in grado di occuparsi di loro come il Dio onnipotente in cui credono; contro la bontà, perché le manifestazioni della bontà di Dio sono estremamente abbondanti durante l’infanzia, la fanciullezza, la giovinezza e l’età; contro la fedeltà divina, perché il Padre amorevole ha promesso di non trattenere nulla di buono e di provvedere a tutti i bisogni secondo le Sue ricchezze nella gloria; contro l’opportunità, perché c’è un uso migliore a cui si può destinare il tempo e il talento che non sia quello di trovare difetti, bisticciare e criticare. Qual è la supplica di questo scrittore ispirato? Che la grazia rinnovatrice della contentezza sia coltivata con lo spirito delle parole: “Benedirò il Signore in ogni momento…” (Salmi 34:1). A tal fine, la passività nelle mani del Padre fa sì che tutte le cose si compongano per il bene e per la vittoria finale di tutti coloro che si affidano alla sua custodia (Romani 8:28).
Poiché la condizione dell’uomo, in ogni terra e di generazione in generazione, è oscurata da nubi oscure e incombenti di sventura imminente, queste cinque elegie, composte sotto la pressione di un’agonia estrema per un regno prostrato, una città in rovina e un popolo disonorato, sono significative per i cuori toccabili di oggi come lo erano per gli Ebrei che, durante la cattività babilonese, sedevano in una grande ombra. Come loro in passato, gli uomini di oggi possono vedere una grande luce. Al di là della loro nuvola, il sole splendeva e avrebbe fatto capolino per illuminare di nuovo il loro cammino, se fossero tornati al Signore come avrebbero dovuto fare.
Sperare in Lui
“Spererò dunque in Lui” (3:24) dovrebbe essere la parola d’ordine di tutti coloro che sono piegati nel dolore. Come porzione, sorte o eredità dell’uomo buono, il Signore è in grado di soddisfare i desideri più profondi dei cuori umani, di rimanere attualmente con tutti i giusti ovunque, di riempire completamente fino a traboccare il calice di ogni credente, di proteggere da qualsiasi nemico che possa sorgere e di essere comunemente alla portata di tutti. Perché, dunque, non sperare in Lui? Egli può fornire la forza per ogni dovere, il conforto per ogni prova, la liberazione per ogni pericolo, la vittoria per ogni battaglia e il paradiso per ogni anima. Perché non lasciare che sia Lui a fornirvi questi tesori inestimabili?
Domande
- In quale periodo della storia ebraica fu scritto questo libro?
- Come lo descrive adeguatamente il titolo? Spiegate.
- A quale uomo viene comunemente attribuito il libro?
- Descrivi Gerusalemme e Giuda in questo periodo (1:11).
- Quali sono le cause del male che si è abbattuto sulla città e sul suo popolo (1:8)?
- Elencare alcuni dei frutti amari della ribellione (1:18-22).
- Riferite le cose che il Signore ha fatto, come indicato in 2:1-9.
- Quando il dolore raggiunge il suo limite, qual è la condizione dell’uomo? (2:11)
- Perché il profeta non perse la speranza? (3:22-36)
- Come fu trattato Geremia? (3:52-55)
- Racconta l’entità della carestia subita dal popolo (4:4; 5:10).
- A chi cercava aiuto il popolo quando aumentava i peccati? (4:17).
- Poiché gli Edomiti si burlavano della situazione di Giuda, quale sarebbe stata la loro? (4:21-22)
- Riportate il succo della preghiera di Geremia (capitolo 5).
- Qual è la parola chiave del libro? (1:1)
- Descrivere l’appello che il libro presenta.