Ruth – perché per fortuna, gli occhi di Dio sono diversi dai nostri.

di Massimiliano Puntin

Buon giorno a tutti. Vi ringrazio per avermi dato anche oggi la possibilità ed il privilegio di poter condividere assieme un mio pensiero. Di solito non parlo mai del Vecchio Testamento, ma oggi voglio parlare di un bizzarro libro che troviamo proprio li, nell’antico testamento: parliamo del libro di Ruth.

Il libro di Rut è un libro strano. Quasi non si capisce come mai sia finito nel Canone Biblico. E’ un libriccino piccolissimo, posizionato fra due “giganti”, sia per dimensioni che per importanza, ovvero fra il libro dei Giudici ed il libro di 1 Samuele. Questi sono due libri storici di importanza fondamentale per storia del popolo Ebraico. Due libri che parlano di grandi condottieri e soldati, grandi eventi e battaglie, parlano di Dio che interagisce direttamente con l’uomo, di premi e punizioni. Riportano alcune fra le tappe fondamentali della storia di ciò che è partito da un insieme di semplici tribù, fino a diventare il popolo ebraico.

E poi, in mezzo a questi due grandi libri, troviamo Ruth, un paio di paginette, niente di più, che parlano di due semplici donne che hanno perso tutto, e che si mettono in viaggio per trovare un modo per sopravvivere.

Un uomo, con sua moglie e i suoi due figli, è costretto a lasciare la sua terra. La storia di quel viaggio è ambientata in un tempo lontano persino per il narratore: al tempo dei giudici. Prima, cioè, che Israele decidesse di avere un re quale garante della giustizia. Sono tempi bui quelli, tempi violenti, tempi di carestia di senso, oltre che di pane.

E del resto, nella Bibbia, e nell’Antico testamento in particolare, carestia e violenza vanno quasi sempre assieme. Quando non c’è cibo, non c’è più spazio per la condivisione del pane. Nella carestia, la sterilità non è solo della terra, ma anche sociale. Il mondo della carestia è un mondo segnato dalla mancanza di cibo, di buone relazioni, di futuro.

Il libro di Rut si apre con la migrazione verso il paese di Moab in cerca di cibo e di futuro, e con il successivo viaggio di ritorno a casa, intrapreso da donne vedove, che hanno perso quel futuro, senza cibo, chiuse nel loro dolore. Donne in un periodo storico in cui nessuno storico si sarebbe preso la briga di raccontare la loro vicenda. Il narratore biblico invece si sofferma su queste donne e racconta, con pochi tratti, la loro vita.

Ecco Noemi, sposata con Elimelec e madre di due figli, al tempo in cui si mise in viaggio verso Moab. Un viaggio della speranza che le fece trovare casa in terra nemica. Ma un paese che ti accoglie e ti nutre può ancora essere considerato nemico? Forse è per questo che i due figli di Noemi sposano senza indugio due donne moabite, Orpa e Rut. Poche righe per sintetizzare un tempo lungo, fatto di vita e di morte. Durante il lungo soggiorno a Moab muore Elimelec, il marito di Noemi, e poi anche i due figli, Malon e Chilion.

E adesso guardiamo queste donne in viaggio. Guardiamole con gli occhi di chi conosce la loro storia. Il narratore ha voluto che le accompagnassimo in questo ritorno, che non le perdessimo di vista, e che il nostro cuore si legasse al loro nell’attesa di vederle risollevarsi.

E Noemi si alzò per ritornare a casa. E mentre parla con le nuore, il nostro cuore è con lei. Sappiamo da dove viene, sappiamo cosa ha passato. Non so voi, ma mentre leggevo la sua storia, io volevo accompagnarle nel viaggio di ritorno. Volevo aiutarle, perlomeno volevo andare avanti per vedere se la storia avrebbe portato loro speranza. Perché ci vuole coraggio per partire, lasciare il proprio paese in cerca di fortuna; ma quanta forza ci vuole per ritornare a casa con la sensazione di aver fallito? Ritornare senza niente, più povera e sola di come era partita. D’ora in poi, chiamatemi Mara, che significa Amara, dirà al ritorno, “poiché partii nell’abbondanza, e ritorno spogliata di tutto.

Alla fine, però, ce la faranno. Sembra la trama di un bel film drammatico/d’amore. Torneranno nel loro paese, ma grazie alla loro forza, alla loro intraprendenza, alla loro intelligenza, riusciranno a salvarsi. Ruth incontrerà Boaz, un parente del defunto Elimelec, ed i due finiranno per sposarsi, salvando così sia Ruth che Noemi. Lieto fine! E qui la storia si interrompe, se non per un dettaglio:

Nel libro di Rut Dio non entra mai in scena in modo diretto. Viene solo nominato un paio di volte. Per questo, all’inizio, dicevo che Ruth è un libro strano. Il riscatto di queste donne non avviene miracolosamente per mano di Dio, o almeno così sembra. Eppure, c’è qualcosa di profondamente divino, proprio perché profondamente umano, nel coraggio e nell’amicizia di due donne così diverse per età e per cultura, come nella solidarietà di una comunità che non è perfetta, ma permette loro di trovare le risorse per risollevarsi.

La storia di Ruth è la storia di due semplici donne, come tante altre. Non parla direttamente di Dio o del suo piano. Ruth però ha una particolarità che sarà svelata solo negli ultimi versetti con un  grande colpo di scena: Ruth e Boaz, saranno i tris nonni (o trisavoli) di Davide, e come sappiamo, dalla discendenza di Davide nascerà molti secoli dopo, Gesù.

Perché ho voluto parlare del libro di Ruth, questa sera? Perché questa breve storia, a mio parere, è ricca di insegnamenti importantissimi.

Ad esempio, ci mostra come (anche se generalmente si pensa al contrario), nelle scritture (ed in generale nella visione di Dio), in un’epoca in cui generalmente in tutte le società le donne erano rilegate all’ultimo scalino della gerarchia sociale, Dio cerca attraverso questo (ed altri) episodi di ridare dignità alla donna ed al suo ruolo, di dimostrare non è vero ciò che si pensava, ovvero che fossero “inferiori” all’uomo.

Ho sentito spesso portare il brano di Effesini 22, dove Paolo dice “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti” per dimostrare una qualche superiorità dell’uomo rispetto alla donna (anche se al massimo sarebbe del marito rispetto alla moglie), ma ci si dimentica che pochi versetti più avanti, sempre Paolo aggiungerà: “Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei”, e ancora “Così i mariti devono amare le loro mogli, come i loro propri corpi; chi ama la propria moglie ama se stesso”. Mogli, amate e rispettate vostro marito, Mariti, amate rispettate (fino al sacrificio più grande) le vostre mogli. Paolo (e Dio, attraverso di lui) stà insegnando a tutti noi che il rapporto uomo e donna, moglie e marito è 1 a 1: alla pari. Non c’è e non deve esserci sopraffazione da nessuna delle due parti!

Ora, purtroppo, al giorno d’oggi, l’idea generale socialmente diffusa è che il Cristianesimo (ed il Dio Cristiano in particolare), siano essenzialmente realtà Misogine, oggi si usa la parola “patriarcale” nella sua forma più dispregiativa, ovvero basate sulla sottomissione ed oppressione della donna rispetto all’uomo. Niente di più sbagliato. Considerando il tempo in cui è stata scritta, la Bibbia è forse il libro più “pro-donna” che sia mai stato scritto. È solo che ci siamo dimenticati del contesto storico e sociale in cui è stata scritta. Vi porto un breve esempio, ma significativo:

C’è un passaggio di Paolo che fa letteralmente imbestialire molte donne e molto uomini moderni: Paolo, ad un certo punto, dirà: “Nelle assemblee le donne portino il velo per coprire i capelli”.  Come si permette Paolo ad obbligare le donne (e solo le donne) ad umiliarsi in questo modo davanti agli uomini? Suona male, vero?

Zoom indietro: In quale periodo storico è posto questo episodio? Perché è fondamentale capire questo: Siamo nella prima metà del primo secolo d.C. A quel tempo, le due principali culture erano la cultura Greca e la cultura Romana (sempre più connesse fra loro). Nella cultura greca, la donna era considerata libera, ma non poteva partecipare alla vita politica, sociale e pubblica come l’uomo. La donna aveva una vita quasi esclusivamente domestica. Viveva nel gineceo, che era una parte della casa a loro dedicata, dove rimaneva e svolgeva tutte le funzioni domestiche che la società le assegnava.

Poi c’era Roma. Roma ha conquistato ed assoggettato gran parte del mondo conosciuto. Attraverso la Pax Augusta (o pax romana), tutti i territori conquistati dovevano sottomettersi alla legge romana, ed in quella società, qual è il ruolo della donna? Beh, la donna è poco più di un oggetto, sebbene con condizioni leggermente migliori rispetto alle donne Greche. Semplificando molto, Roma nasce dall’unione con le sabine, e dalla guerra che ne derivò. Alla fine accettarono di sottomettersi alla nuova cultura patriarcale, cultura nella quale, tutto è incentrato nel combattimento e la guerra, non potendo le donne più combattere, sebbene ne fossero capaci, venivano considerate un peso sociale, e quindi “tollerate” perché utili alla procreazione, e quello è il loro unico ruolo (o poco altro).

Il ruolo della donna, nella cultura Romana era il più basso scalino della scala sociale. Poteva essere comprata e venduta. Aveva diritti inferiori a quelli degli schaivi.

Ora, Nel diritto Romano (ancora oggi alla base della legislatura moderna) c’era una legge che obbligava le donne non sposate a “spogliarsi del velo” per mostrare i capelli agli uomini per il piacere degli uomini. Un po’ come se oggi ci fosse una legge che obbligasse le donne a vestirsi in maniera indecorosa per il piacere degli uomini. Solamente le donne sposate o le vedove, potevano sottrarsi a questa ingiustizia. E allora Paolo cosa fa? Non toglie dignità alla donna, gliela stà dando. Crea un luogo sicuro per tutte le donne ed in particolare le giovani, quelle che più avevano bisogno di protezione. Dice: qui siete al sicuro. Quando siete in assemblea, quando siete con noi, nessuno vi obbligherà a togliere il vostro velo, tenete la vostra dignità.

E’ un concetto che Dio cerca di far capire agli uomini fin dall’inizio, fin dal primo racconto della Genesi, quando racconta che la donna “nasce” da una costola di Adamo, dell’uomo. Questo non significa che la donna sia inferiore dell’uomo, in quanto “derivata” dall’uomo, ma che donna e uomo sono fatti della stessa sostanza. Sono la stessa cosa agli occhi di Dio.

Qui mi fermo, però. Ci sono tantissimi altri episodi e brani che potrei portare per mostrare come fin dall’inizio Dio abbia cercato di mostrare insegnare questa uguaglianza di genere ed il rispetto che l’uomo deve avere per le donne, ma questo messaggio diventerebbe uno studio molto lungo, ed alla fine dei conti, non è di questo che voglio parlare.

Infatti, c’è un altro importante insegnamento che Dio ci dà attraverso questo racconto: il razzismo non ha alcun senso. Tutti gli uomini (e le donne) sono uguali al cospetto di Dio.

Il libro di Rut conserva la memoria dei viaggi di persone invisibili, senza potere. La storia di questi migranti sarebbe andata perduta, dispersa come affondano in mare i pochi averi dei naufraghi, o i naufraghi stessi, se la Bibbia non l’avesse custodita fino a farla diventare la storia di Dio. Vengono ricordati i nomi di tutti i membri della famiglia, anche di quelli che soccomberanno agli eventi infelici.

E già questa cura per la memoria di tutti, di chi arriva alla meta, come di chi non ce l’ha fatta, dice lo stile del racconto biblico che, più che interessarsi alla storia dei potenti (Giudici 1 Samuele), si sofferma sulla storia dei perdenti, dei piccoli, delle piccole, di chi non ha la possibilità di scrivere il proprio nome nelle cronache ufficiali.

Perché, chi siamo noi per giudicare se una persona è piccola o grande, se più o meno di noi? In questo racconto, una donna, una Moabita (quindi non ebrea, una donna che proviene da un’altra cultura, da un paese nemico e un’altra religione, che pregava un altro Dio… e sappiamo quanto questo fosse terribile agli occhi di un ebreo) una donna considerata generalmente come impura, sarà la chiave per arrivare a Gesù! Sarà fondamentale nel piano di Dio. Ed in fin dei conti, anche lei sarà una delle madri di Gesù.

“Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. 29 Se siete di Cristo, siete dunque discendenza di Abraamo, eredi secondo la promessa.” (Galati 3:28-29)

C’è una leva che storicamente è sempre stata molto efficiente nel controllo delle grandi masse, delle persone, ovvero instillare la paura, la diffidenza ed il rifiuto verso persone “diverse” da noi, provenienti da altre culture o da altre zone. Oggi lo chiamiamo razzismo.

Come Elimelec, molti uomini e donne, con famiglie e bambini si sono messi in marcia (e lo fanno tutt’oggi). Salgono su gommoni, e spesso non sopravvivono al viaggio. E perché lo fanno? Già, perché giocare d’azzardo con la propria vita e con quella della propria famiglia? Perché quell’azzardo è comunque meglio di ciò da cui stanno scappando. Ci sono viaggi intrapresi per rispondere ad una chiamata, viaggi per visitare amici e parenti o per scoprire posti sconosciute. Il libro di Rut, ambientato nel periodo estivo, al tempo della mietitura, ci ricorda, con lo stile leggero di una narrazione dai tratti quasi fiabeschi, che nei viaggi disperati dei migranti, questi non vanno mai in vacanza. Dietro ogni persona costretta a lasciare la sua terra, c’è una storia, un vissuto che non ha il potere di fare notizia, al massimo fa politica.. a meno che qualcuno si fermi ad ascoltarla.

E viviamo in un mondo in cui ci viene insegnato che non dobbiamo ascoltare quelle storie, che dobbiamo proteggerci preventivamente, perché sono un pericolo per noi e per il nostro status quo. E quell’idea, ripetuta e ripetuta alla fine attecchisce, a volte anche fra noi Cristiani. Non voglio generalizzare, so che è un tema complesso, però Dio lo ha trattato e lo ha affrontato. Ci ha dato il suo parere a riguardo:

Mt 22,34-40 In quel tempo 34 i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37 Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

E poi va ancora più nel merito, con la famosissima parabola del buon Samaritano:

Una parabola in cui tutte le più importanti cariche dello stato Ebraico passano davanti ad un uomo steso a terra, in fin di vita, derubato e picchiato fino quasi alla morte. E nessuno di loro si ferma ad aiutarlo, e per quanto possa sembrare crudele, non fanno nulla di sbagliato, perché rispettano la legge (il sacerdote stava andando al tempio, e non poteva contaminarsi con il sangue). Chi si ferma? A fermarsi è un Samaritano, i nemici per definizione degli ebrei, un popolo che gli ebrei considerava una razza inferiore, qualcuno da evitare a tutti i costi. Addirittura, quando gli ebrei dovevano andare al tempio per la pasqua, per non passare dalla Samaria allungavano il percorso in maniera assurda! Questo per far capire quanto negativamente gli ebrei consideravano i Samaritani. Ebbene… è proprio un Samaritano a dimostrarsi l’unico ad avere ciò che alla creama della società ebrea mancava: la carità e la misericordia! Il Samaritano si prenderà cura di quest’uomo, lo soccorrerà e farà in modo che possa riprendersi.

“Gli uni, gli altri” è una delle formule più belle e più ripetute nelle scrutture:

  • “Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. (1Giovanni 3:11)
  • Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti. (1 Tessalonicesi 5)
  • incoraggiatevi dunque gli uni gli altri (1 Tessalonicesi 5)
  • Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. (colossesi 3)

Consideriamo brevemente lo standard di valutazione di Dio in contrasto con quello dell’uomo. L’uomo è portato a giudicare in base a ciò che crede di vedere. In una parola, l’uomo guarda l’aspetto esteriore. Dio, invece, guarda al cuore dell’uomo (“Non badare al suo aspetto né alla sua statura, perché io l’ho scartato; infatti il SIGNORE non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell’uomo: l’uomo guarda all’apparenza, ma il SIGNORE guarda al cuore”1 Samuele 16:7). Perciò Dio non considera le caratteristiche razziali o fisiche o di genere, ma considera “l’uomo nascosto del cuore”

Ora guardiamo questi due diversi criteri di valutazione. Quello umano si basa sul pregiudizio raziale, che a sua volta nasce da un concetto di “autoesaltazione”. Si basa sull’idea che gli uomini sono creati su livelli diversi. Io valgo di più degli altri. Niente di più sbagliato e di più aberrante davanti agli occhi di Dio. Se ciò fosse vero, Dio, il creatore dell’uomo

  • O non sarebbe in grado di rendere tutti gli uomini uguali (e quindi non sarebbe onnipotente)
  • Oppure non vuole rendere tutti gli uomini uguali, e quindi sarebbe ingiusto.

Entrambe le possibilità sono evidentemente ridicole, visto quando Dio abbia ripetuto l’importanza dell’amore, della tolleranza, della fratellanza universale, dell’uguaglianza!

Nel Giorno del Giudizio non sarà importante chi era la nostra famiglia. Che importanza avrà la nostra ricchezza, la nostra posizione sociale? “La livella”, come raccontava Totò nella sua famosa poesia. Saremo invece giudicati in base alle nostre opere, ed in base a come noi abbiamo giudicato il nostro prossimo. Non ci saranno distinzioni pregiudiziali, ma tutti gli uomini saranno uguali agli occhi di Dio.

La testimonianza dice:

“Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male.” (2 Corinzi 5:10). “ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito” (Atti 10:35).

E per finire, una citazione che riporto sempre: Matteo 25:34-40

“Allora il re dirà a quelli della sua destra: “Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; 36 fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. 37 Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?” 40 E il re risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”

Il libro di Ruth, è una piccola pietra preziosa all’interno del progetto di Dio. Impariamo da Noemi a non soccombere alle avversità, ad aver fiducia in Dio, e soprattutto, ad amare e rispettare il nostro prossimo, a prescindere da sesso, genere, colore, ceto o paese di provenienza, perché non sappiamo quale sarà il suo ruolo nel piano di Dio. E non ci deve nemmeno interessare. Sesso, genere, ceto, paese di provenienza… tutto questo non ha alcun valore agli occhi di Dio. Perché dovrebbe averne ai nostri?

Amen

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