- Paul Robison
- Febbraio 9, 2025
- 3:25 pm
Dall’Esodo alla traversata del Giordano – Esodo 15-40, Levitico, Numeri, Deuteronomio
I. DAL MAR ROSSO AL SINAI. (Esodo 15-18)
1. Il canto della liberazione (Esodo 15).
Non è facile descrivere e neanche comprendere le emozioni di Israele sulla spiaggia orientale del Mar Rosso. Il sentimento più grande deve essere stato di gratitudine umile ma trionfante. Non c’è spazio per l’orgoglio. Il pericolo per loro è stato così grande, la loro liberazione così completa e così interamente compiuta da Dio che non si loda nessun altro oltre a Lui nel magnifico conato, che ci è pervenuto come uno dei monumenti della liberazione[1].
2. La marcia verso Refidim.
Non si accampano nel momento del loro trionfo. L’organizzazione nazionale deve essere completata al Sinai. Per un po’, la strada in quella direzione costeggia il lato orientale del mare, il “deserto di Shu”, come viene chiamata la zona al nord, e il “deserto di Sin”, quella a sud. L’addolcimento delle acque di Mara, l’accampamento vicino alle dodici sorgenti e le settanta palme di Elim sono alcuni dei primi eventi lungo la marcia. È passato un mese dall’esodo. Entrano nel terribile deserto di Sin[2]. Comincia a scarseggiare il cibo portato dall’Egitto ed alla sete viene ad aggiungersi la fame. Dimentichi delle liberazioni passate e delle sicure promesse di Dio, il popolo copre Mosè di aspri rimproveri per averlo portato a morire nel deserto. Ed è a questo punto che incomincia quel miracolo di pietà, la manna, che li accompagnerà ogni giorno nei prossimi quaranta anni di peregrinazioni e che Gesù userà come stupendo simbolo di sé stesso, come il pane dal cielo.
3. L’ accampamento a Refidim.
A questo punto, Israele lascia le pianure lastricate del deserto di Sin e si accampa a Refidim. Stanno entrando nelle gole delle montagne, nella zona conosciuta come Horeb. Anche qui cominciano a soffrire per la sete, Mosè, allora, colpisce la roccia e l’acqua scaturisce in abbondanza. E qui, senza alcuna provocazione, gli Amalekiti li attaccano. L’attacco viene respinto da uomini scelti, sotto la guida di Giosuè, mentre Aaronne e Hur sostengono in alto le mani di Mosè in preghiera. Inoltre, qui, Mosè viene raggiunto dalla sua famiglia che era rimasta con Jethro durante la grande contesa e l’esodo. Jethro aiuta Mosè, dandogli dei buoni consigli riguardo a come amministrare la giustizia.
II. L’ANNO AL SINAI
Da Refidim, Mosè guida Israele sino al Monte del Sinai. L’approccio, attraverso delle gole profonde, è ben calcolato per riempirli di stupore.
Si accampano finalmente su una pianura davanti al Sacro Monte che, come un enorme altare di granito, si erge di colpo ad un’altezza di oltre 2000 metri[3].
Il patto Nazionale (esodo 19;20).
Il patto di Abrahamo, rinnovato più volte durante l’era patriarcale e rinnovato recentemente a Mosè, davanti al roveto ardente, viene, in questo momento, rinnovato e ampliato solennemente per farne un patto nazionale. Colui che ha chiamato Abrahamo e che si è preso cura dei patriarchi, Colui che ha sentito le grida del suo popolo in Egitto e lo ha liberato dalle sue catene, Colui che ha guidato, nutrito e difeso loro durante il viaggio fino a quel luogo, ora propone di stipulare con loro un patto particolare. Il patto, esteso da Dio tramite Mosè, è accettato dal popolo, scritto in un libro ratificato solennemente tramite sacrifici e l’aspersione di sangue.
Questo patto è reso compatibile nei Dieci Comandamenti, dapprima proclamati oralmente dalla cima del Sinai in mezzo a lampi, tuoni e un terremoto e dopo scritti da Dio su tavole di pietra. Questi sono i comandamenti:
- Non avrai altri dei davanti a me
- Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna.
- Non userai il nome dell’Eterno, il tuo DIO, invano.
- Ricordati del giorno di sabato per santificarlo.
- Onorerai tuo padre e tua madre.
- Non ucciderai
- Non commetterai adulterio.
- Non ruberai.
- non farai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
- Non desidererai le cose del tuo prossimo
(da Esodo 20:3-17)
Questo è il grande codice dato sul Monte del Sinai, mille anni prima delle Dodici Tavole di Roma. Il decalogo viene poi ampliato in un corpo completo di leggi civili e di cerimoniali.
Il sacerdozio nazionale.
Durante il periodo patriarcale il capo della famiglia fungeva da sacerdote. Dopo l’esodo, mentre l’intera nazione è vista come santa, lo è in modo speciale il primogenito (Esodo 13:2, 11-15). Successivamente, la tribù di Levi è messa da parte come tribù sacerdotale al posto dei primogeniti (Numeri 3:5-13). I membri della famiglia di Aaronne sono consacrati come veri sacerdoti, mentre Aaronne stesso, e dopo di lui i primogeniti in linea perpetua, detiene l’ufficio più alto nella nazione giudaica, cioè quello di Sommo Sacerdote.
Le feste nazionali.
Ci sono tre festività annuali. Sono tutte commemorazioni di eventi importanti della loro storia nazionale e sono anche calcolate per celebrare le diverse fasi della stagione dei raccolti:
- La Pasqua, o la festa del pane azzimo.
Istituita la notte dell’Esodo, commemora la loro liberazione dalla schiavitù ed ha luogo nel mese di Abib, dal 14 al 21 (per noi, la prima parte di Aprile). Inoltre, celebra anceh l’inizio del raccolto. Le caratteristiche principali sono l’agnello pasquale, mangiato insieme al pane azzimo e alle erbe amare, e lo scuotimento del covone maturo come segno di gratitudine a Dio per il raccolto.La festa delle settimane, o la Pentecoste.
Questa festa ha luogo cinquanta giorni dopo la Pasqua e celebra la conclusione del raccolto del grano. Più tardi, i giudei lo hanno tenuto per la commemorazione della promulgazione della legge, che ebbe luogo cinquanta giorni dopo la prima Pasqua. La maggiore cerimonia religiosa è l’offerta delle primizie nella forma di un pane cotto.
- La festa delle capanne o la convocazione. Questa festa ha luogo dal 15° al 22° giorno del settimo mese. È una specie di Casa del Raccolto, una celebrazione del raccolto di tutti i frutti della terra. È il Giorno del Ringraziamento degli ebrei. Come commemorazione dei loro quaranta anni vissuti in tende nel deserto, essi vivono per una settimana in capanne fatte di rami d’albero.
- Il santuario nazionale. Durante l’anno nel Sinai, costruiscono il tabernacolo. È un piccolo tempio mobile, lungo circa 14 metri e largo circa 4, 5 metri, contiene l’altare d’incenso, la tavola con i “pani della presentazione” e il candelabro con sette braccia: tutti oggetti di oro puro. Il “luogo santissimo” o “Santo dei Santi” è un cubo di circa 4,5 x 4,5 metri e non contiene altro che l’arca del patto, nella quale sono poste le tavole della legge, un vaso d’oro con la manna e la verga fiorita di Aaronne. Soltanto il sommo sacerdote può entrare nel Santo dei Santi ed egli vi entra soli il giorno dell’espiazione, quando fa l’offerta annuale per i peccati del popolo. Nella corte aperta, intorno al tabernacolo, sono posti l’altare degli olocausti e il bacino di bronzo. Il tabernacolo viene portato con loro, durante le loro peregrinazioni nel deserto, e viene dopo eretto a Sciloh, che sarebbe stata le sede del culto nazionale per più di quattrocento anni, cioè fino a quando Salomone costruisce il tempio.
I sacrifici nazionali.
La caratteristica centrale del culto ebraico sono i sacrifici che possono essere di animali o di frutti della terra. Ci sono tre classi di sacrifici animali:
- Gli olocausti bruciati. Offerti ogni giorno, mattina e sera, sono consumati interamente dal fuoco e indicano simbolicamente la completa dedizione a Dio.I sacrifici di ringraziamento. La caratteristica di questi sacrifici è che una porzione del sacrificio viene riservata ad una festa alla quale l’offerente può invitare i suoi amici. Sono espressione di comunione con Dio e con gli altri e, a volte, ci sono un gran numero di offerte.
- I sacrifici per i peccati. Questi sono individuali o nazionali. In ogni caso il sacrificio consiste in un’unica vittima. Una porzione è consumata sull’altare e una porzione può essere mangiata dal sacerdote, ma il recipiente, in cui viene cotta, deve essere ben strofinato, se di metallo, o rotto se di coccio. Le interiora si bruciano fuori dall’accampamento. Il rituale del sacrificio per il peccato serve affinché la lezione del peccato che contamina sia ben impressa nelle menti.
L’apostasia nazionale.
Ai piedi del Sinai ha luogo la prima violazione del patto nazionale. Mentre Mosè stà sul monte, la gente reclama a gran voce per avere degli dei che vadano davanti a loro. Aaronne si arrende. Imitando il culto egiziano del vitello, fonde un vitello d’oro e il popolo procede a fare un banchetto idolatra. È una violazione diretta del secondo comandamento. Mosè ritorna con le tavole di petra in mano, e come loro hanno rotto il patto, così egli rompe le tavole su cui era scritto. Tramite la sua intercessione il popolo viene perdonato, ma non prima che tremila di essi cadano vittime della pena per il loro crimine. Il patto è rinnovato e nuove tavole son preparate.
III. DAL SINAI A KADES.
Il censimento.
Prima di smantellare l’accampamento davanti al Sinai si fa un censimento delle tribù. Trentotto anni più tardi, verso la fine delle peregrinazioni, si farà un secondo censimento. Questo doppio censimento dà il nome al libro dei numeri.
La marcia verso Kades.
Dal Sinai, un anno dolo l’esodo, Israele marcia verso Kades, al confine sud di Canaan. La strada percorre un deserto interminabile. A Taberah la gente si lamenta e un fuoco la consuma. Prima di cominciare a marciare di nuovo, istigata da una moltitudine di gruppi vari che aveva accompagnato il popolo, Israele piagnucola contro la manna e reclama il cibo di Egitto. Sono mandate orde di quaglie, ma, insieme a loro, anche una piaga in cui muoiono migliaia di persone. L’accampamento di Taberah (che brucia) viene chiamato Kibroth-Hattaavah (tombe della bramosia). Un altro doloroso evento, durante questa marcia, è la ribellione di Miriam e Aaronne. Miriam è colpita dalla lebbra, ma viene guarita per intercessione di Mosè.
Il crollo della fede.
Dodici spie sono mandate da Kades per esplorare il territorio. Tornano nella lode del paese e portano frutti succulenti come prova della fertilità del suolo. Ma, eccetto Caleb e Giosuè, gli altri riferiscono che il compito della conquista è impossibile. La fede della nazione crolla completamente. Propongono di eleggere un’altra guida e di tornare in Egitto. Caleb e Giosuè, che cercano di dar loro coraggio, vengono quasi lapidati. Spesso nei tempi passati, la loro fede si era indebolita e avevano tentennato, ma mai prima avevano deliberatamente voltato le spalle alla terra promessa e il viso verso la terra della schiavitù. Era il culmine dell’increduli (Ebrei 3:19). Per trentotto anni ancora questa generazione incredula (quelli sopra i venti anni, n.d.t.) è condannata a vagare, finchè ad uno ad uno lasciano le loro ossa scolorite nel deserto. Solo Caleb e Giosuè sopravvivono ed entrano a Canaan. Questi trentotto anni sono quasi un incognita. La punizione di uno che trasgredisce il sabato, la ribellione di Kore, Dathan e Abiran e la riconferma dell’autorità di Aaronne come Sommo Sacerdote, con il bastone fiorito, sono eventi di questo periodo. Verso la fine, Israele si raduna di nuovo a Kades per l’ultima avanzata verso Canaan.
IV. DA KADES AL GIORDANO
A Kades, Mosè e Aaronne peccano quando la roccia viene colpita per la seconda volta e non viene loro permesso di entrare nella terra promessa. Miriam muore qui. Gli Edomiti, discendenti di Esaù, rifiutano di lasciarli passare attraverso il loro territorio; quindi, Israele fa una grande deviazione verso sud, toccando il valico orientale del Mar Rosso. Lungo la via Aaronne muore e viene sepolto sul Monte Hor. Un flagello di serpenti è mandato come punizione per una nuova ondata di incredulità. Mosè innalza un serpente di bronzo, un mezzo per la guarigione, visto dopo come un segno che raffigura Cristo sulla croce. Israele conquista il territorio di Og e Sihon, potenti capi amorei, ad est del Giordano, dove si stabiliscono le tribù di Ruben e Gad e metà della tribù di Menasse. Il re di Moab, allarmato dall’avanzata vittoriosa di Israele, corrompe un rinomato veggente, chiamato Balaam, per maledirli. Ogni volta, però, uscendo dalle sue labbra, le sue maledizioni si capovolgono, diventando benedizioni. Ma compie indirettamente ciò che non riusciva a compiere direttamente. Coinvolge così Israele nel peccato con Moab e Madian e migliaia del popolo di Dio soccombono ad una piaga mandata come pena. Ma finalmente, nonostante i pericoli corsi nei deserti aridi, per via di nemici feroci e della loro stessa incredulità, Israele si accampa accanto al lato orientale del Giordano. Moseè pronuncia il suo discorso d’addio, che include buona parte del Deuteronomio. Dal monte Nebo, ad est del Mar Morto, a Mosè viene data una visione della terra promessa. Lì muore e viene sepolto in sepolcro sconosciuto. Il suo lavoro si conclude. Ha redento un popolo, trasformandolo da un popolo di schiavi ad una nazione organizzata, e lo guidato all’ingresso della terra promessa. E ora, nello stesso momento, depone la sua missione e la sua vita.
[1] Sul contrasto fra il canto di Mosè e il poema di Pentaur, consultare “mosaic Era” [“L’era mosaica”] di Gibson, p.62.
[2] Per una descrizione dei viaggi in questi deserti, vedere “Hours With the Bible” [“Ore passate con la Bibbia”] di Geikie, vol.2, pp. 200, 201, 210, 211.
[3] Vedete “Hours With the Bible” [Wore passate con la Bibbia”] di Geikie, vol2, pp.251-253, 261-264.